Naust di Espen Surnevik

Tra le diverse commissioni di Espen Surnevik ricordiamo “Naust”: il restauro di un antica rimessa per barche.

Surnevik è un architetto che opera nel suo studio personale a Oslo. Negli edifici che realizza lascia visibili le sue radici legate alle zone rurali della costa norvegese, contaminando il lavoro con elementi che ricordano la modernità e il carattere socialdemocratico del suo paese.

Il lavoro nasce dalla richiesta di realizzare una casa vacanze a partire dell’antica rimessa per barche, riuscendo ugualmente a mantenerne la sua funzione originaria. La Norvegia è un paese che, presentando una grande quantità di coste, ha da sempre avuto uno stretto legame con il mare e la pesca. Il naust, la tradizionale riemessa per imbarcazioni, è il risultato architettonico di questo rapporto.

In questo caso specifico il lavoro viene svolto su un edificio di circa 200 anni, caduto in disuso. La struttura è leggermente arretrata rispetto l’acqua, con fondamenta scavate oltre la spiaggia, le quali sono realizzate in pietra locale, dalle caratteristiche moreniche. Le pietre risultano relativamente rotonde quindi necessitano di una muratura a secco affinché sia possibile ottenere stabilità. L’uso di pietra locale permette a questi edifici di creare un rapporto di connessione molto stretto con il luogo in cui sono posizionati, diventando anche elementi che si integrano in maniera coerente con il paesaggio circostante.

È stato necessario sostituire la struttura vecchia, ripristinando le fondamenta, le quali sono state realizzate nuovamente in pietra locale. Sopra è stata posizionata una struttura in legno, come da tradizione, rivestita in zinco ossidato, ottenendo il colore nero opaco senza neppure ricorrere all’uso della pittura. Si raggiunge, quindi, non solo una colorazione che si sposa bene con il paesaggio circostante, ma anche un ottimo isolamento termico. La forma riprede gli originali angoli bassi del tetto e, come nella struttura preesistente, non presenta sporgenze.

Si tratta di edifici che nascono con l’idea di resistere alle diverse possibilità di maree, quindi sono presenti delle robuste porte di vetro che presentano ampie tolleranze rispetto alle mura in pietra, in modo da far penetrare le inondazioni senza causare danni.

Si è ricorso ad arredi progettati ad hoc: nella parte sottostante troviamo robuste panche, sgabelli e un tavolo in pino, in grado di resistere alle sollecitazioni di una possibile inondazione. Per le finiture sono state utilizzate soluzioni high-tech, andando a combinare elementi antichi e moderni.

Amelia Tavella, figlia dell’arbusto e della sabbia

Originaria della Corsica, Amelia Tavella apre il suo studio di architettura AMELIA TAVELLA ARCHITECTS nel 2007, per poi ricevere nel 2021 la nomina a “Cavaliere dell’Ordine Nazionale al Merito della Gran Cancelleria della Legion d’Onore”, la più alta onorificenza conferita dallo stato francese. Sicuramente tale traguardo è il risultato di uno stile di gran lunga particolare e ricercato, che presenta una grade attenzione ai materiali, visti come elementi da fodere tra di loro per esaltare gli elementi naturali della terra natale dell’architetto, il mar Mediterraneo.

Uno dei lavori da cui sicuramente ha ricavato più fama è la restaurazione e l’ampliamento del Convento Saint-Francois, a Sainte-Lucie de Tallano, in Corsica, la sua terra natale. Si tratta del rifacimento di un antico convento del 1480, classificato come monumento storico, che prima dell’inizio dei lavori si trovava in uno stato di abbandono, ricoperto dalla vegetazione e con muri sgretolati.

L’edificio incastonato nel paesaggio dell’Alta rocca, sembra vegliare sul borgo accanto, prestando una distinzione netta tra la parte anteriore, rivolta verso l’uliveto, e la parte posteriore, dove è posto il cimitero. Nel corso dei secoli, vediamo come si sia fuso con la natura circostante: un fico ormai è inglobato nella facciata; è stata la vegetazione, che infilandosi tra i mattoni ha tenuto in piedi la struttura.

“Ho scelto di conservare le rovine e sostituire la parte distrutta, la parte fantasma, in opere di rame che diventeranno la Casa del Territorio. Ho camminato sulle orme del passato, collegando la bellezza alla fede, la fede all’arte, muovendo le menti dal passato a una forma di modernità che mai altera o distrugge. Le rovine sono segni, vestigia, impronte, raccontano anche i fondamenti e una verità, erano fari, punti cardinali, distorcono i nostri assi, le nostre scelte, i nostri volumi. “

Così racconta Tavella le sue scelte, soprattutto quella di ricostruire la parte andata perduta. L’ampliamento è stato realizzato in rame per le sue proprietà di trasformazione e di resistenza nel tempo.

“Costruire sulle rovine significa far incontrare passato e modernità, che si abbracciano facendo la promessa di non tradirsi mai. Uno diventa l’altro e nessuno viene cancellato. È un intreccio di un tempo più antico in un tempo nuovo che non disfa, che non distrugge, ma che collega, attacca, afferra, due parti sconosciute e non estranee, una delle quali diventa estensione dell’altra in una sorta di trasfigurazione.”

“Mi piaceva l’idea di un possibile ritorno alla rovina, che il rame potesse essere disfatto: questa possibilità è un atto di cortesia, di rispetto verso il passato, verso il patrimonio corso”

Abbiamo quindi un nuovo volume progettato seguendo nel modo più fedele possibile la planimetria dell’edificio già esistente: al piano terra, lungo la parte esterna, sono state posizionate grandi aperture ad arco che imitano gli ingressi in pietra.

Le pareti in rame presentano dei fori quadrati, quasi a creare una maglia. Ciò perette alla luce di filtrate e raggiugere i corridoi interni. Il riflesso che si ottiene sul rame e sulla pietra crea un ambiente altamente suggestivo.

Attualmente l’edificio viene utilizzato come centro culturale: la nuova estensione ospita una sala espositiva al piano terra, uno spazio culturale al primo piano e spazi dedicati ai bambini al secondo piano.

Tavella si è dedicata anche al rifacimento di un castello che si estende per più di 1600 m², posizionato nel sud della Francia, più precisamente a Châteauneuf-du-Pape, zona delle residenze estive dei papi di Avignone.

La struttura è stata trasformata in uno spazio espositivo, nel corpo centrale, a cui sono state accostate una dozzina di suite nelle due ali laterali del castello. I materiali, semplici, poco lavorati e strettamente legati al territorio circostante, diventano protagonisti indiscussi dell’edificio, con esterni caratterizzati dal bianco della pietra, e interi nei quali non viene meno l’uso del legno e indiscutibilmente della terracotta.

Sono forti ed evidenti gli echi del progetto originale: la struttura è stata rimessa a nuovo, resa fruibile mantenendo inalterato il suo spirito.

“Quando costruisco, non disfaccio. Non c’è tradimento. Procedo per inclusione. La natura invade i miei progetti. Non è né un ostacolo né una costrizione; è il mio ospite che celebro. Il Mediterraneo è la mia matrice. Vengo da lì, da questo luogo unico. Figlia della macchia mediterranea e delle sabbie, ho imparato qui la complessità del mio mestiere di architetto. Mare, roccia, spiaggia: la mia femminilità ha abbracciato la femminilità di questo mare, lavorando con delicatezza, traendo ispirazione dai sedimenti, dalla materia morbida e originaria. La mia isola mediterranea mi ha insegnato la luce, il colore, ricordandomi costantemente che non c’è creazione valida senza etica e che la storia è la culla del presente. È un’eco, poi una fusione.”